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Curcio - www.fiereesalonidellibro.com


Un anno, di fronte allo stand del mio editore Veronesi c'era Renato Curcio con i libri della cooperativa Sensibili alle foglie.
Quand'era ancora in carcere, infatti, Renato Curcio aveva fondato una cooperativa che pubblicava libri di ricerca sociale, sul tipo di esperienza umana vissuta dalle persone detenute, sulle risorse a cui attingono per sopravvivere e per contrastare i meccanismi dell'istituto carcerario.
Il tema comune a tutti i libri è quello delle istituzioni totali, come il carcere, il manicomio e gli ospedali psichiatrici giudiziari e, per esteso, tutte le istituzioni di inclusione sociale.
Alcuni dei libri che avevo visto sul tavolo erano:



Ogni tanto guardavo verso di lui e mi chiedevo: “Se adesso andassi là e gli dicessi che io abito a meno di 500 metri dal luogo in cui è stato arrestato? Chissà che reazione avrebbe…” In ogni caso, non l'ho fatto.
Questi sono 2 articoli usciti nei giorni del suo arresto.



8 settembre 1974: Renato Curcio è arrestato a Pinerolo

«La maggiore responsabilità credo sia stata mia: un po’ di ingenuità, un po’ di disattenzione e una certa sfortuna. Se avessi osservato le regole di sicurezza che avevamo stabilito, le cose non sarebbero andate in quel modo». Renato Curcio racconta così le circostanze che portarono al suo arresto, domenica 8 settembre 1974, al passaggio a livello del Casello 30. La caccia al capo delle Brigate Rosse si era conclusa, alla periferia di Pinerolo, con un’azione degna di un film.
La Fiat 128 su cui viaggiavano Curcio e Alberto Franceschini fu bloccata dai Carabinieri del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, a chiusura di un’operazione segretissima (gli stessi militari avevano saputo quando e dove intervenire solo il giorno prima dell’azione). «Uscendo dall’abitato di Pinerolo imbocco una stradina di campagna ritenendola più sicura della provinciale – continua Curcio nel suo racconto, pubblicato nel libro autobiografico A viso aperto –. A un certo punto arrivo a un passaggio a livello chiuso e mi devo fermare dietro a un camioncino. Per qualche attimo non succede niente. Poi sopraggiunge veloce una macchina che ci tampona leggermente. Io mi incavolo: “Ma guarda questi stron…”. Non ho il tempo di finire l’imprecazione che in un baleno saltano fuori dieci-quindici uomini in civile con le pistole in pugno. Siamo circondati. Dal finestrino aperto uno mi punta l’arma alla testa e sibila: “Non muoverti, siamo carabinieri”».
La trappola era scattata grazie a un infiltrato: Silvano Girotto, alias Frate Mitra,un ex frate francescano ed ex guerrigliero in Sud America che si era finto sostenitore delle Brigate Rosse per entrare in contatto con loro. Un primo incontro avvenne qualche giorno o qualche settimana prima dell’arresto, sempre a Pinerolo: «Lui arrivò come prestabilito, lo caricammo in macchina e lo portammo in montagna», dice Curcio. Forse in Val Pellice? Nel libro il capo delle Br non lo specifica, ma è possibile. Curcio aveva, infatti, legami con la valle, avendovi trascorso una parte dell’infanzia. Parlando genericamente di Pinerolo, ma riferendosi in tutta evidenza alla Val Pellice, la definisce il luogo «dove ero stato da bambino e di cui conoscevo ogni angolo e sentiero».
Un’inchiesta giornalistica di Pier Giovanni Trossero (L’Eco del Chisone), successiva all’arresto, appurò che dal novembre 1973 l’uomo era stato visto più volte, tra Bobbio, Villar e Torre Pellice. Trossero giunse addirittura a ipotizzare che in valle fossero stati custoditi due sequestrati illustri: il sostituto procuratore Mario Sossi e il dirigente Fiat Ettore Amerio. Ma la circostanza non trovò mai conferma.
Il secondo appuntamento con Girotto – l’8 settembre, nella zona della stazione di Pinerolo – fu molto più breve: qualche minuto appena. «Appena arriva [Girotto], gli dico che ho fretta e che ci saremmo rivisti a Torino». Il capo delle Br aveva iniziato a sospettare qualcosa, ma non gli fu sufficiente per scampare all’arresto.
Fonti: Renato Curcio, A viso aperto (intervista di Mario Scialoia), Arnoldo Mondadori, Milano, 1993; Pier Giovanni Trossero, In Val Pellice la prigione di Amerio e di Sossi?, su L’Eco del Chisone del 12 settembre 1974.
Immagine: L’arresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini da parte dei Carabinieri, al Casello 30 di Pinerolo.





Il capo delle Brigate rosse Renato Curcio
è arrestato a Pinerolo con il suo aiutante

Domenica alle 10,20, sulla strada per Orbassano, a un passaggio a livello - Da due anni sfuggivano alle ricerche - Sarebbero coinvolti nei rapimenti del sindacalista Labate (Cisnal), del cav. Amerio (dirigente Fiat) e del giudice Sossi - Responsabili di alcune rapine in banca? - Le fasi della cattura - Sull'auto, targata Bologna, avevano una pistola e una bombola di gas lacrimogeno - I carabinieri: "Preparavano il sequestro di un ministro".
La « mente » delle Brigate rosse, il capo riconosciuto del movimento eversivo, Renato Curdo, 33 anni, laureato In sociologia all'Università di Trento, colpito da tre ordini di cattura, è caduto nella rete che I carabinieri gli tendevano da due anni. Con lui è stato arrestato Il suo « braccio destro », Alberto Franccschlni, 27 anni, laureando in legge. L'operazione è stata compiuta dal nucleo di polizia giudiziaria della 1' Brigata dei carabinieri, al comando del generale Dalla Chiesa. Il Curcio era ricercato, tra l'altro, per il rapimento del dirigente Fiat cav. Amerio; ma è opinione della magistratura che anche negli altri clamorosi sequestri (quello del sindacalista Cisnal, Labate, e del giudice genovese Sossi) il « cervello » delle Brigate rosse abbia avuto una parte di primo piano. Sia Amerio che Sossi furono concordi nel riferire agli inquirenti: « Chi ci interrogava era una persona preparata, aveva un livello culturale più che universitario e solide basi in parecchie discipline ». Di tutti i « brigatisti » finora arrestati o ricercati, solo il Curcio risponderebbe a queste caratteristiche intellettuali. La cattura dei due giovani è avvenuta domenica mattina, nei pressi di Pinerolo. Fin dal maggio scorso, subito dopo la liberazione di Sossi, I carabinieri avevano organizzato nuclei speciali per dare la caccia ai rapitori. Gruppi di radiomobili civetta con quattro uomini hanno battuto tutta Italia alla ricerca di Alberto Franceschini stato segnalato ad Ischia, Bologna, Novara, Biella, Pinerolo. Hanno collaborato alle ricerche le pattuglie di militari a piedi. E proprio da questi corpi è giunta, domenica mattina, la segnalazione decisiva. Verso le 8 al centro del nucleo speciale, nella caserma di via Cernala, è squillato il telefono. All'altro capo del filo un vicebrigadiere di Pinerolo. « Finalmente l'uccello è nella l rete. Ho visto Franceschini In città. Con lui c'e un uomo baffuto, sut trent'anni. Assomiglia moltissimo al Curcio. Li stiamo seguendo ». Scattato subito l'allarme, auto e furgoncini civili convergono nella zona. Sono istituiti blocchi stradali. Alle 10,20 il momento fatale della resa dei conti. Da poco i due brigatisti hanno abbandonato Pinerolo su una "128" blu targata Bologna, risultata poi di appartenenza della Azienda tranviaria di quella città. Guida il Curgio. A velocità moderata imboccano la strada che porta a Piossasco ed Orbassano. Ma non vanno lontano. Un chilometro oltre il ristorante « Macumba » devono fermarsi al passaggio a livello chiuso. Racconta la casellante, Vittoria Bincoletti: « Doveva passare il treno per Torino, il traffico fino allora era stato molto scarso. Mi ha colpito la coda di vetture in attesa dalla parte di Pinerolo. Ho notato, dietro la "128", una Alfa scura targata Roma, un pulmino bianco di Milano ed altre "Giulie" mescolate ad utilitarie. Ricordo di aver pensato: "Che strano, su nessuna macchina c'è una donna ». Qualche minuto di attesa ed è transitato il convoglio. La Bincoletti è rientrata per manovrare il congegno che solleva le sbarre. « Lo avevo appena messo in funzione — ricorda — quando ho sentito un'auto accelerare e subito dopo una frenata brusca ed un fracasso di lamiere. Poi delle urla concitate ». Pensando ad un incidente si precipita fuori con in braccio il figlio Daniele, 2 anni. Le si presenta una scena da film poliziesco. Una "Giulia" bianca si è affiancata alla « 128 » blu, sbarrandole con il muso la marcia. Due uomini, pistole in pugno, si stanno avvicinando al guidatore intrappolato. Altri uomini armati, scesi dall'Alfa dietro alla « 128 » e dal furgoncino di Milano, accorrono per bloccare l'altro brigatista. Sorpreso, Renato Curcio non fa neppure un gesto di reazione. Immobilizzato da un carabiniere continua a tenere le mani sul volante. Più svelto Alberto Franceschini. Spalanca la portiera, tenta la fuga attraverso i campi. Un paio di metri e finisce nelle braccia dei carabinieri. « Muoviti, fai qualcosa », urla al compagno che si limita soltanto a guardare la scena nel retrovisore, preoccupandosi però di tenere le mani sempre bene in vista. A calci e spintoni Franceschini cerca ancora di liberarsi dalla morsa di parecchie braccia. Prima di essere ammanettato grida rivolto ai pochi automobilisti che osservano dall'altra parte del passaggio a livello: « E' un attentato fascista. Che cosa aspettate ad aiutarmi? ». Quando i ferri scattano intorno ai polsi si calma, beffardo aggiunge: "Beh, per questa volta vi è andata bene". Tranqillo sale su una vettura che parte diretta a Torino. Curcio lo segue sul furgoncino, imprecando. Franceschini aveva addosso sei patenti con nomi diversi. Quando gli chiedono: n Ma, allora, qual è il suo vero nome? », si scuce le labbra: "Che importanza ha? Scegliete pure voi tra i due che vi piacciono di più. Non prendetevi la briga di avvisare i nostri parenti né di chiamare gli avvocati. Parleremo solo con il magistrato ». Poi hanno cambiato idea, chiudendosi In un mutismo assoluto. Il giudice istruttore, dott. Caselli, li ha interrogati nella notte di domenica, senza però cavargli di bocca neppure una sillaba. Nel cruscotto della « 128 » è stata trovata una pistola calibro 7,65 con i numeri di matricola resi illeggibili ed una bomboletta « spray » di gas lacrimogeno. Nelle tasche delle portiere alcune carte che gli inquirenti definiscono « interessanti ». Agli arrestati, i carabinieri hanno sequestrato un proiettile calibro 38 (pallottole dello stesso tipo erano già state trovate addosso ad altri « brigatisti », probabilmente sono un segnale di riconoscimento in seno all'organizzazione), un mazzo di chiavi ed una chiavetta per cassetta di sicurezza. A che cosa serviva questo arsenale? Tutte le contestazioni del magistrato hanno incontrato un ostinato silenzio. Ieri sera Curcio e Franceschini sono stati trasferiti in due carceri piemontesi. Secondo i carabinieri stavano preparando il rapimento di a un'alta personalità dello Stato, probabilmente un ministro ».
La Stampa 10 settembre 1974




[Su l'Eco del 19 settembre 1974]

La nostra indagine dopo l'arresto di Renato Curcio e Alberto Franceschini
Tutti i lunedì, accompagnato da una giovane donna o da una più anziana, o con il Franceschini, si recava a Bobbio Pellice a comprare 4 litri di latte e formaggio - Da una tabaccaia di Villar Pellice comprava le sigarette, pranzava a Bobbio, frequentava un bar di Torre Pellice.
Certe indagini di polizia assomigliano molto ai bilanci delle grosse società per azioni. I conti, in bilancio, tornano sempre anche se accanto alla contabilità regolare esiste il libro nero, dove entrate ed uscite non devono necessariamente quadrare e dove, soprattutto, chi decide in definitiva è una o due persone. Più o meno è quanto sta accadendo per il «caso» di Renato Curcio, l'uomo arrestato il mattino dell'8 settembre in prossimità del casello 30 a Pinerolo, ritenuto il capo delle «Brigate Rosse», una organizzazione clandestina, responsabile, secondo quanto sostengono gli inquirenti, dei rapimenti di Sossi e Amerio.
L'arresto è stato un capolavoro cinematografico, anche se mancavano le cineprese o le telecamere e ci si è dovuti accontentare di nitide ed eloquenti fotografie. Certamente l'arresto avrebbe però dovuto avvenire in modo diverso; la dinamica pare sia stata studiata per alcune settimane da quelli che sono i responsabili del gruppo antiterroristico. Si sapeva della presenza di Franceschini, 27 anni, laureando in legge, l'uomo che da molto tempo era con il Curcio ma di quest'ultimo, secondo le dichiarazioni ufficiali, non si era completamente sicuri. Così l'arresto avrebbe sì dovuto avvenire domenica 8 settembre, ma verso Torino e in circostanze meno rocambolesche.
I due brigatisti avrebbero dovuto essere portati in caserma e qui, con tutta calma, «poiché si sapeva che avevano addosso falsi documenti», procedere alla identificazione, al riparo di occhi indiscreti. Qualcosa evidentemente di tutta questa messinscena non ha funzionato.
L'episodio presenta però parecchi punti oscuri. I carabinieri da alcuni mesi sapevano della presenza dei due brigatisti nel pinerolese e più precisamente nella Val Pellice.

Su quali elementi si possono fare queste congetture? Intanto funzionari della questura nel mese di marzo o aprile erano stati dalla signora Luciana Migliotti, Via Giordano 3, Torre Pellice, la figlia della donna, Enrichetta Paschetto, morta 4 anni fa che per 8 anni, dal 1942 al 1949, aveva tenuto a balia il piccolo Curcio (la madre, Jolanda, nativa di Monterotondo, non lontano da Roma, aveva avuto Renato da una relazione, pare con un ricco possidente di Imperia). I questurini avevano chiesto alla Migliotti notizie di Renato Curcio «Ma sono almeno 18 anni - ha detto la donna - che non lo vedo, da quando la zia Nina, infermiera presso l'ospedale, l'aveva portato presso un collegio in Liguria».
Ma torniamo ancora indietro nel tempo.
Novembre 1973. A Bobbio Pellice, presso la cooperativa del latte, all'allora gestore Giovanni Negrin, si presenta un uomo: compra latte e qualche formaggio. Le visite diventano più frequenti. Giuseppe Geymonat, succeduto al Negrin nella gestione della cooperativa, ci dice: «Ricordo che quell'uomo (il Curcio - n.d.r.) veniva tutti i lunedì, comprava 4 litri di latte, qualche volta anche un po' di toma». Era solo? «No, spesso l'accompagnava una donna, sui 30 anni, carina, bruna, con i capelli corti». Tutti i lunedì, tra le 15 e le 17, puntuale come un oro-logio svizzero. «Ricordo che in pieno inverno - prosegue il Geymonat - spesso non avevamo clienti ma lui, il Curcio, c'era sempre». Qualche volta, invece che con la donna, si è presentato assieme ad un uomo (il Franceschini?); una volta assieme al Curcio c'era una donna piuttosto anziana, grigia di capelli, sui 70 anni, marcato accento meridionale (alcuni pareri del Curcío sono infatti meridionali).
Chiediamo ancora al Geymonat: non ha mai chiesto sconosciuto dove abitava, cosa faceva di mestiere? «Era un uomo di poche parole; ordinava il latte, pagava e se ne andava; non ha mai fatto confidenza». Che macchina aveva? «Non so esattamente, certo era una grossa macchina». Non una 128 come quella sulla quale l'hanno arrestato a Pinerolo? «Non era una 128, almeno di questo sono sicuro».
Spostiamoci di poche centinaia di metri, presso una trattoria. Lì il Curcio c’è stato, l’hanno visto, e l’ha visto anche “qualcuno” che da mesi era sulle sue tracce. Perché allora - considerando che questa scoperta risale perlomeno alla primavera - il brigatista è stato lasciato per tanto tempo in libertà se è davvero colpevole di quei reati di cui ora ci informano carabinieri e magistratura?

Ma il Curcio è stato visto anche a Villar Pellice, a Torre Pellice, presso un bar, è stato visto ed identificato dalla tabaccaia della borgata Chabriols di Torre Pellice, «È venuto qualche volta - ci ha detto la donna -; comprava MS o Marlboro; però è da almeno un mese che non si faceva più vedere».
Sono questi solo alcuni anelli di una lunga catena; sono pezzi di un mosaico che dovrebbero essere completati per cercare di capire perché e come il Curcio ha potuto per tanto tempo girovagare in Val Pellice, senza dare ufficialmente nell'occhio. Certamente il Curcio non è mai rimasto solo; oltre al Franceschini ci sono la donna giovane, bruna - probabilmente la moglie - e la seconda donna, quella più anziana. Ci sono i litri di latte che tutte le settimane comprava alla cooperativa di Bobbio, c'è il macchinone (targato Torino) che usava per i suoi spostamenti.
Da questi fatti si deduce che il Curcio ha abitato per molti mesi in Val Pellice, tra Torre e Bobbio, ma in una zona facilmente accessibile (altrimenti non avrebbe potuto servirsi della grossa macchina blu scura vista più volte dal Geymonat. Inoltre ha abitato non certo in un capanno anche perché, come ci hanno dichiarato alcune persone che ora ricordano di averlo visto, vestiva sempre in modo discretamente elegante, come la donna ne era con lui. Aveva dunque, non diciamo un basista, ma aiuti sostanziosi che gli arrivavano da «qualche» parte e una possibilità di movimento per lo meno sospetta, difficile immaginare per una persona che avrebbe dovuto essere ricercata per i suoi misfatti (secondo quanto ci dicono) da polizia e spie di tutta Italia. I carabinieri dunque sapevano da mesi della presenza di Curcio e del Franceschini in Val Pellice. Forse, per metterli nella rete, hanno solo atteso il momento più opportuno.

Pier Giovanni Trossero

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